La tutela della privacy del lavoratore controllato a distanza
Semplificate le procedure privacy che autorizzano l’installazione di impianti tecnologici di controllo e di utilizzazione dei dati trattati attraverso la riscrittura dell’art. 4 della I. n. 300/1970 e di un rinvio al d.lgs. n. 196/2003 (codice “privacy”).
L’introduzione di standard normativi europei in tema di privacy ha imposto nuovi limiti e vincoli ai controlli, ulteriormente limitando in materia il potere datoriale già oggetto delle specifiche tutele imposte dall’art. 4 l. n. 300/70 e dalla l. n. 196/03.
I principi stabiliti a livello comunitario sono i seguenti:
- principio di necessità: il controllo deve risultare necessario o indispensabile rispetto ad uno scopo determinato ed avere il carattere dell’eccezionalità, limitato nel tempo e nell’oggetto, mirato e mai massivo;
- principio di finalità: il controllo deve essere finalizzato a garantire la sicurezza o la continuità aziendale o a prevenire e reprimere illeciti;
- principio di trasparenza: il datore di lavoro deve informare preventivamente i dipendenti sui limiti di utilizzo degli strumenti e delle sanzioni previste nel caso di violazione di tali limiti;
- principio di proporzionalità: il datore di lavoro deve adottare forme di controllo strettamente proporzionate e non eccedenti lo scopo della verifica;
- principio di sicurezza: i dati raccolti devono essere protetti in modo adeguato.
Il controllo sulle attività svolte dal lavoratore prevede precisi limiti interni al potere organizzativo e di controllo del datore di lavoro.
Tali limiti ai sensi del I comma dell’art. 4 St.Lav. sono espressi da specifiche esigenze aziendali che ammettono l’installazione e l’utilizzo di strumenti atti al controllo del lavoratore.
Le causali che rendono legittima l’installazione sono:
- Esigenze organizzative e produttive;
- Sicurezza del lavoro;
- Tutela del patrimonio aziendale.
L’art. 4 prevede il divieto delle strumentazioni che servono esclusivamente a realizzare un controllo a distanza sull’attività dei lavoratori e su altre condotte personali poste in essere nel luogo di lavoro, pertanto l’installazione di impianti audiovisivi finalizzati esclusivamente al controllo è illegittima.
L’installazione di strumenti di lavoro è subordinata alla stipula di un accordo tra datore di lavoro e le rappresentanze sindacali unitarie (R.S.U) o aziendali (R.S.A).
In mancanza di accordo, gli strumenti di controllo possono essere installati previa autorizzazione dell’INL – Ispettorato Nazionale del Lavoro territorialmente competente e nel caso di imprese con sedi dislocate nel territorio, è sufficiente l’autorizzazione della sede centrale dell’INL.
La presenza di un sistema di videosorveglianza in azienda dovrà essere comunicata ai dipendenti e ai terzi con un apposito cartello.
Secondo il comma III, art. 4, St. Lav. il lavoratore deve essere adeguatamente informato delle modalità d’uso degli strumenti di controllo e per quanto riguarda le condizioni di legittimità per l’utilizzabilità delle informazioni raccolte, il trattamento deve avvenire nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giungo 2003 n. 196.
Ai sensi del III comma dell’art.23 del D.Lgs. 151/2015 le informazioni raccolte dal sistema di videoregistrazione potranno essere usate ai fini disciplinari, secondo quanto previsto dall’art.7 della L.300/70.
L’utilizzo dei dati acquisiti dovrà avvenire sempre nel rispetto della disciplina per il trattamento dei dati personali (D.Lgs. 196/2003 e succ.modif.) a garanzia della privacy del lavoratore; la sfera personale del lavoratore è inviolabile e deve essere protetta da ogni possibile invadenza.
Tra i doveri del datore di lavoro vi è quello di:
- Nominare un incaricato della gestione dei dati registrati dall’impianto di videosorveglianza;
- Conservare le immagini raccolte solo per un massimo di 24h dalla rilevazione, a meno che non sussistano speciali e comprovabili esigenze.
Diverse le sanzioni in materia privacy connesse ai sistemi di videosorveglianza, tra queste la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 6.000,00 a € 36.000,00 in caso di omessa informativa ovvero la consegna di una informativa inidonea .