Ancora incertezza sul periodo di comporto

Nell’ultimo anno la Cassazione si è pronunciata in 3 modi diversi sul periodo di comporto. Come sappiamo, il nostro ordinamento tutela il lavoratore che si trovi nei casi di malattia, infortunio, gravidanza e puerperio: situazioni in cui il rapporto di lavoro è sospeso ed al dipendente spetta una indennità stabilita dalla legge (art. 2110 codice civile). Tuttavia, questa tutela non si protende all’infinito, ma superato un lasso di tempo, il periodo di comporto, ai sensi dell’art. 2110 c.c., comma 2, il datore può recedere dal contratto di lavoro.

Tale principio però andrebbe a cozzare con il Jobs Act (valevole solo per i neo assunti) che elencando le ipotesi di nullità del licenziamento, non include il licenziamento per superamento del periodo di comporto: se ne deduce, quindi, che il licenziamento per superamento del periodo di comporto sia qualificabile come illegittimo e dia diritto al lavoratore solo a un’indennità e non anche al reintegro.

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7433 del 14 aprile 2016, in materia di licenziamento per superamento del periodo di comporto, ha affermato il principio secondo il quale: “tenuto conto che non esiste un orientamento giurisprudenziale che legittimi il lavoratore a scegliere arbitrariamente il periodo di godimento delle ferie, né imputare a ferie le assenze per malattia, trattandosi di evento che va coordinato con le esigenze di un ordinato svolgimento dell’attività dell’impresa, e la cui concessione costituisce una prerogativa riconducibile al potere organizzativo del datore di lavoro (Cassazione n. 10352/2008); deve ritenersi prevalente l’interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto (Cassazione n.5078/2009), conseguendone che il lavoratore stesso ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, gravando quindi sul datore di lavoro, cui è generalmente riservato il diritto di scelta del tempo delle ferie, dimostrare – ove sia stato investito di tale richiesta – di aver tenuto conto, nell’assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto”.

Sarebbe auspicabile quindi operare un bilanciamento:

  • da una parte riconoscendo un ragionevole “spatium deliberandi” da parte del datore di lavoro al fine di valutare la convenienza ed utilità della prosecuzione del rapporto di lavoro;
  • dall’altra rispettare il periodo di aspettativa  al termine del periodo di malattia, in cui il lavoratore potrebbe recuperare appieno le sue energie psicofisiche e riprendere il servizio. Classici casi in cui vincolare il datore di lavoro ad esercitare il recesso subito dopo il periodo di comporto andrebbe a ledere proprio quegli interessi che il sistema cerca di tutelare.

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