Cessione ramo azienda e autonomia funzionale

La Corte di Cassazione ha ribadito l’illegittimità della cessione ramo azienda quando la parte ceduta non ha una vera e propria autonomia funzionale e organizzativa.

Lo spunto è offerto dalla recente sentenza numero 4500 dello scorso 8 marzo 2016. Tra due società del settore delle telecomunicazioni, la T.I. s.p.a. e la E.S. s.p.a. era avvenuta una cessione dell’ufficio dei servizi generali, ma a distanza di pochi mesi la struttura veniva smantellata in altri tre centri, a loro volta ceduti ad una terza impresa. Alcuni dipendenti hanno opposto ricorso a quest’operazione sostenendo che il ramo ceduto non avrebbe mai avuto una sua autonoma operatività a seguito della cessione.

Il rischio è di eludere le norme e utilizzare lo strumento della cessione ramo azienda in modo improprio, ad esempio, per espellere quote di personale dall’azienda visto che la cessione include anche i contratti di lavoro. I lavoratori potrebbero ritrovarsi in una nuova azienda con tutele e trattamenti ridotti rispetto al precedente rapporto di lavoro.

Ordinamento e giurisprudenza hanno però ribadito innumerevoli volte un principio fondamentale: il contratto di cessione ramo azienda per essere genuino deve prevedere che la parte ceduta sia un’articolazione funzionalmente e organizzativamente autonoma rispetto al resto dell’azienda. In altri termini, dev’essere una struttura che continuerebbe ad esistere anche “da sola”. Il requisito è che esista un complesso organizzato di persone e di elementi materiali che consenta di esercitare un’attività economica, così come previsto dal DLgs. 276/2003. La precedente disciplina normativa, di cui all’art.2112 c.c., prevedeva addirittura il requisito della preesistenza della struttura rispetto al trasferimento.

Occorre comunque ricordare che l’onere della prova per dimostrare l’esistenza di un trasferimento di ramo è a carico della società cedente. Si tratta di un’eccezione rispetto al principio generale dell’ordinamento che richiede al lavoratore ceduto il proprio consenso per accettare il mutamento nella titolarità del rapporto di lavoro.

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