Distacchi transfrontalieri
Nel maggio del 2014 Parlamento e Consiglio europeo hanno emanato la direttiva 67/2014 con la finalità di potenziare la precedente disciplina contenuta nella direttiva 71/1996 in materia di distacchi transfrontalieri. Proprio in questi giorni è all’esame del Consiglio dei Ministri un apposito decreto legislativo che dovrà recepire e unificare le direttive del legislatore europeo entro il mese di giugno 2016.
Appare utile richiamare l’articolo 30, c.1, D.lgs. 276/2003 sui Distacchi transfrontalieri: “L’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.” Così come specificato dalla circolare n. 4/2004 del Ministero del Lavoro requisiti essenziali dei distacchi transfrontalieri sono: la sussistenza d’un interesse oggettivo del datore di lavoro distaccante e l’elemento della temporaneità nel distacco.
La direttiva 71/1996 era stata concepita come una sorta di “nucleo” di diritti fondamentali inderogabili per i lavoratori: periodi massimi di lavoro, riposi, durata minima delle ferie retribuite, tariffe minime salariali, sicurezza, salute e igiene sul lavoro, tutela delle lavoratrici gestanti, parità tra uomo e donna e principi di non discriminazione. Dall’altro lato però, la Corte di Giustizia, attraverso le proprie sentenze ha spesso ribadito una certa attenzione più verso la tutela della libertà economica di circolazione dei servizi nel mercato interno (artt. 26 e 28 del TFUE) che non verso la tutela dei lavoratori.
La necessità di innovare la materia era avvertita da tempo e su più fronti: in altre parole, fornire strumenti più incisivi per contrastare il fenomeno delle società di comodo, i distacchi transfrontalieri simulati, e garantire certezza dei diritti per i lavoratori distaccati. Tuttavia, se i Paesi dell’Europa occidentale caldeggiano per la modernizzazione della materia, quelli dell’est Europa ritengono sia ancora prematuro. Del resto, i Paesi che occupano il maggior numero di lavoratori distaccati sono proprio: Germania, Francia e Belgio. E’ evidente il pericolo di dumping sociale e di elusione del diritto comunitario del lavoro. Lo strumento dei distacchi transfrontalieri utilizzato in modo improprio diventa un escamotage per beneficiare di condizioni normative meno restrittive e un costo del lavoro più basso: emblematica la sentenza Rüffert della Corte di giustizia europea del 2008.
La questione è apertissima. Il legislatore europeo sta procedendo con la massima cautela: l’esigenza di armonizzare i vari ordinamenti degli Stati membri è crescente. Occorre un approccio “compromissorio” che bilanci interessi opposti e in conflitto, non solo tra i vari Paesi europei, ma anche tra libertà economica e diritto del lavoro.
Il punto del dibattito, e delle tensioni, ruota attorno alla questione della retribuzione dei lavoratori distaccati e dei relativi oneri contributivi. La Commissione Europea sta tentando di dirimere la questione promuovendo il principio di “parità di retribuzione per lo stesso lavoro nello stesso posto” per quanto riguarda la disciplina lavoristica. Invece, per le norme previdenziali rimane l’obbligo dell’impresa distaccante di versare i contributi previdenziali nel paese in cui l’azienda è legalmente stabilita e non quello in cui avviene la prestazione di lavoro. Questo per non interrompere il rapporto che intercorre tra il lavoratore distaccato e il sistema di previdenza del proprio paese.
Inoltre, un altro problema risiede nell’interpretazione giudiziale (e nella conseguente applicazione) delle norme comunitarie negli ordinamenti nazionali. E’ spettato ai giudici nazionali il tentativo di colmare zone grigie di un diritto in continua evoluzione. La giurisprudenza italiana, applicando i propri parametri interpretativi (talvolta estensivi), è stata più volte censurata dalla Commissione Europea.
Occorre attendere per le prossime settimane per conoscere gli sviluppi che porteranno all’emanazione del Decreto per conoscere come il Legislatore italiano intenderà recepire la nuova direttiva europea.