Abuso del congedo parentale licenziamento legittimo

Il Testo unico maternità e paternità (D.Lgs. n. 151/2001) disciplina i congedi parentali. Per i primi otto anni di vita del bambino, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro. E’ legittimo il licenziamento del genitore che dopo aver ottenuto un congedo parentale si dedichi ad altro. Configurandosi in tal caso abuso del congedo parentale.

Il diritto al congedo spetta: alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi.

Il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto; per l’esercizio del diritto il genitore è tenuto, salvi i casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro. Il lavoratore deve attenersi a quanto disposto dai contratti collettivi, rispettando un periodo di preavviso non inferiore a quindici giorni. Per i suddetti periodi di congedo è dovuta un’indennità, calcolata  secondo le modalità previste per il congedo di maternità.

E’ legittimo il licenziamento del genitore che dopo aver ottenuto un congedo parentale per stare con il figlio minore di otto anni si dedichi ad altro. Questo è quanto stabilito dalla Corte di cassazione, sentenza n. 509 dell’11 gennaio 2018, respingendo il ricorso di un dipendente licenziato. A seguito delle indagini disposte dalla azienda, era risultato che «per oltre metà del tempo il lavoratore non aveva svolto alcuna attività a favore del figlio».

La Suprema corte ricorda che anche se l’istituto sia qualificato come un diritto potestativo, non significa che esso possa essere esercitato senza controlli.

Infatti, «in presenza di un abuso del diritto», il datore di lavoro è «privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente.  Inoltre il lavoratore percepisce indebitamente l’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza». Ciò accade anche se il diritto venga esercitato non per la cura diretta del bambino, bensì per attendere ad altra attività di lavoro, anche se incidenti positivamente sulla organizzazione economica della famiglia. Analogo ragionamento – afferma la Corte Costituzionale –  in riferimento al genitore che trascuri la cura del figlio per dedicarsi a qualunque altra attività.

Ricopre un ruolo fondamentale l’analisi di quello che il genitore non fa nel tempo che avrebbe dovuto dedicare al minore. D’altronde la Corte costituzionale (nelle sentenze n. 371/2003; 385/2005) aveva chiarito come la tutela della paternità «si risolva in misure volte a garantire il rapporto del padre con la prole in modo da soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del bambino al fine dell’armonico e sereno sviluppo della sua personalità e del suo inserimento nella famiglia». Esigenze che sono impedite dallo svolgimento dell’attività lavorativa che se sospesa consente al padre di dedicarsi alla cura del figlio. Di fatti la Cassazione nella sentenza n. 16207/2008 aveva chiarito che tale conversione delle ore di lavoro, non può ammettere una cura soltanto indiretta per migliore organizzazione della vita familiare.